H1N1 - The Holy Flu - Parte 3/3

In questa parte, sarò più breve. O forse no.
Per chi volesse approfondire, ci sono numerosi articoli sulla stampa straniera che vi apriranno nuovi orizzonti. Ad ogni modo, io prendo spunto da un editoriale di Nature (1). Lasciate che vi citi alcune parole estratte dall’articolo:
“[...] The sobering fact is that humans were lucky with this pandemic. Most cases have been mild, yet health services were still often stretched to capacity. And the fact that vaccines were too few, too late, would have been catastrophic if the virus had been more lethal.”

La prima cosa da sottolineare è che la risposta globale all’emergenza è stata sorprendentemente efficace e rapida. Messa così sembrano rose e fiori, ma il punto è che poteva andare molto peggio.
Nell’aprile del 2009, con la comparsa dei primi casi, le autorità messicane hanno prontamente avvisato la comunità scientifica internazionale. Ancora all’oscuro riguardo la natura del virus, hanno fatto la cosa giusta. E’ bene sottolineare che in Messico, nel 2003, è stato approntato il “National Pandemic Influenza Preparedness and Response Plan”. L’andamento periodico delle pandemie influenzali è motivo di allarme da molti anni, soprattutto a seguito degli outbreak del virus H5N1, avvenuti in Asia, negli anni 1997 e 2003. E proprio nei paesi asiatici ci si aspettava di veder emergere il nuovo virus pandemico. E invece è arrivato in Messico, tra una tortilla e l’altra. Grazie al NPIPRR (l’acronimo è mio), la rete di controllo sanitario ha permesso di contenere la diffusione del virus, e consentito l’ospedalizzazione e la cura dei casi più gravi. Al Messico tutta la faccenda è costata più di 4 miliardi di dollari (2). Non dimentichiamoci che avrebbero potuto minimizzare, insabbiare, fare capannello e risolversi la faccenda da soli. Si parla di un paese che sopravvive anche grazie al turismo.
Andiamo avanti.
Se prendiamo in considerazione gli USA (3), la storia assume i contorni di un avvincente romanzo di Chricton.

Nel numero di martedì 21 apile 2009 del Morbidity and Mortality Weekly Report del CDC (Center for Disease Control) di Atlanta si fa riferimento a campioni biologici provenienti da due bambini californiani. Il dottore che li ha presi in cura non è stato in grado di identificare il sottotipo virale e ha quindi spedito i campioni ad Atlanta. I ricercatori del CDC scoprono ben presto che si tratta di un Flu virus di origine suina, diverso da quello stagionale. Inoltre, con sorpresa, viene fuori che i due bambini non sono mai stati a contatto con animali.
Il giorno dopo, mercoledì 22, vengono riportati altri casi in Texas e California. A quel punto qualcuno si chiede se si tratta dello stesso virus che si sta diffondendo in Messico, dove sono stati riportati i primi casi di decesso dovuto a complicanze respiratorie ancora di origine sconosciuta. L’uomo che prende la decisione giusta, in quel momento, è Richard Besser, a quel tempo direttore operativo del CDC. Viene attivato l’Emergency Operation Center, al livello 3 (il più basso).
Giovedì, 48 ore dopo il Weekly Report, l’EOC viene portato a livello 1, il più alto. I risultati di laboratorio confermavano che i virus isolati in Messico e negli USA appartenevano allo stesso sottotipo. Dopo 24 ore, anche la WHO attiva la sua emergency response room e nella giornata di venerdì dichiarerà al mondo che ci dovevamo preparare ad una “public-health emergency.” Da allora, gli aggiornamenti della WHO sono stati giornalieri.

La macchina di contenimento ha funzionato bene. Ci saranno state falle, inciampi di percorso, imprecisioni. Ma se il virus fosse stato più aggressivo, a quest’ora dovremmo tutti mandare un biglietto di sentito ringraziamento a coloro che hanno fatto il loro lavoro come andava fatto. Ci è andata bene, ma io dormo più tranquillo se so che c’è il CDC di Atlanta.

Comunicazione?
La pandemia H1N1 è stata un banco di prova eccezionale per mettere sotto esame la fiducia del pubblico nelle autorità. Da un lato, l’eventualità che i vaccini fossero pochi e non arrivassero in tempo ha causato grande preoccupazione nell’opinione pubblica, che però subito dopo si è chiesta se il vaccino fosse sicuro ed efficace.
Le informazioni si diffondono ad una velocità impressionante, e purtroppo la verifica delle fonti in termini di credibilità non è sempre possibile. A maggior ragione per chi si affida ai media come unica sorgente d’informazione. Ecco perchè mi incazzo quando vedo che fa più scalpore la non dimostrata pericolosità del vaccino invece del messaggio che la WHO e i singoli governi (compreso il nostro) hanno seguito un protocollo che in condizioni peggiori ci avrebbe salvato al vita.

“Times of uncertainty and risk are times when public trust is most needed. But trust is built long before the time that trust matters most. As the public weighs the perceived risks of the A(H1N1) virus against the perceived risks of vaccination, they are taking into account multiple, often conflicting, sources of current and historic information, as well as their own personal experiences.” (4)

La mia opinione è che basterebbe aprire dei canali di informazione con organi ufficiali il cui scopo è di gestire la “comunicazione dell’emergenza”. Nel nostro paese, al di là delle dichiarazioni ufficiali del Ministro, è necessario curare il rapporto di fiducia che si crea tra noi e le istituzioni. Solo così potremo relegare nel settore dei rumors i complottisti, che vedono le sataniche multinazionali dietro ad ogni angolo, pronte ad azzannarci.
Non faccio difesa a oltranza, non sono nato ieri. E neanche l’altro ieri. Ma in Italia c’è miseria di comunicazione scientifica. I blog di scienza si contano sulla punta delle dita. E i vari Repubblica e Corriere a volte pubblicano oscenità che lette dalla nostra parte, degli scienziati, fanno impallidire.

(1) Nature 463, 135-136 (14 January 2010) | doi:10.1038/463135b
(2) Vargas-Parada L. H1N1: a Mexican perspective. Cell. 2009 Dec 24;139(7):1203-5.
(3) Nature 463, 150-152 (2010) | doi:10.1038/463150a
(4) JAMA. 2010;303(3):271-272.